mercoledì 19 febbraio 2014

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What am I?

What am I doing?

What I am destined?

For who I am living now that I was alone?



mercoledì 5 febbraio 2014

Rush: The Oni took my heart

Tanti anni fa, un saggio Roser mi raccontò che ognuno di noi nasce con un demone nel cuore. Un piccolo spirito malvagio che non fa altro che nutrirsi della tua rabbia del tuo dolore e della tua frustrazione, crescendo con te come un parassita. Durante la crescita, tenta in tutti i modi di sviarti, cercando di farti agire nel modo sbagliato, di peggiorare una situazione, e di allontanare coloro che potrebbero salvarti da lui una volta per tutte. 

Non c'è modo di liberarsi di loro. Si può solo costantemente combatterli.

Ed è estenuante.

-

- Questo è il broblema, non è vero? Non accetterai mai chi sono, il mio passato, no?

- Io sono stanco dei tuoi ricatti, John. Sono stanco di non poter prendere le mie decisioni senza sentire la tua voce che insinua che siano decisioni prese per la paura. Sono stanco. Lo sai perchè non voglio venire? Per non metterti nella situazione di dover vedere mentre restituisco a Klaus il favore che mi ha fatto. Non riguarda sempre tutto te, John. Non sei il centro del fottuto universo. Predichi tanto sul fatto che devo smetterla di permettere alla gente di dirmi chi sono, o cosa devo fare, quando tu sei il primo. Tu sei il primo, a tenermi al guinzaglio come un cagnolino. Quello che non accetto non è chi sei. Non accetto il fatto che ti prendi il diritto di credere che non mi riguardi, che non abbia conseguenze su di me. Tu puoi dire a me quello che cazzo ti pare sulla mia vita, ma io non posso dire un cazzo sulla tua.  Tu sei il primo a dare per scontato che io rimarrò seduto ad aspettarti in eterno.

- vuoi aggiungere altro?

- Voglio aggiungere altro. Si. Credi di essere così bravo al gioco delle maschere. Non lo sei. Ti farai ammazzare. Lo rispetto. Tu nemmeno sai quanto cazzo rispetto che vuoi farti ammazzare per quella gente. Quello che non rispetto è che sono sempre stato io quello a sacrificarsi. Fin dall'inizio. Io sono sceso in guerra per te, io mi sono preso il fango, il sangue, la merda, per te. Con te che mi dicevi che prima o poi saremmo stati insieme. Te lo ricordi? Mi hai detto, avremo la nostra nave e la nostra famiglia. Ma è successo che io ho iniziato a capire che era una bugia. Non succederà mai. Avrai sempre qualcosa da mettere davanti a questo, sempre. E nonostante lo avessi capito, sono rimasto in silenzio. Ma io non sono più disposto a rimanere qui a marcire mentre tu giochi ai tuoi giochi. Ho finito.

- yea... we are done!

-

E quando il demone prende il sopravvento, resti accecato. Quando il demone affonda le unghie nel tuo orgoglio, quando mina la tua sicurezza e alimenta la tua ira non puoi fare altro che seguirlo, costretto da catene invisibili. Ti accorgi dell'accaduto solo alla fine. Quando resta solo il vuoto. 

e tu, resti solo.

mercoledì 16 ottobre 2013

Convicted: The silent Ghost.



Faregate Day 28


Klaus Schmidt viene considerato dal giovane John al pari di un Fantasma. The Ghost, è il soprannome che gli ha affibbiato, quando più di una volta lo ha visto reagire con un’impressionante velocità, schivare proiettili e colpire più persone contemporaneamente.


Ma Klaus Schmidt resta un semplice soldato, un combattente, uno di quelli che messo in gabbia con un avversario, lotta instancabilmente per raggiungere uno dei due risultati possibili: Primeggiare e sopravvivere o soccombere e morire. 


Venne messo in cella con un muscoloso minatore di Clackline, dalla pelle nera dura e tesa sui muscoli gonfi. Una volta messo piede in cella, Klaus lo vide scrocchiare le dita con un sorriso beffardo al quale rispose con uno sguardo glaciale e fermo. Il cancello si chiuse con un suono metallico che fu interpretato come il suono della campanella di un Ring. L’ex-minatore venne portato mezzora dopo fuori dalla cella, con il naso rotto, un paio di costole incrinate ed una commozione cerebrale.


Il biondo indipendentista è uno dei sopravvissuti alla guerra. Cresciuto su Hera ed istruito in maniera rudimentale dal padre, si è inserito fra le schiere indipendentiste verso la fine del periodo di guerra. È uno specialista del corpo a corpo ed un instancabile soldato. Su Bullfinch si allenava costantemente, eseguiva gli ordini in silenzio ed era il primo a scattare quando si presentava un pericolo. Klaus era ed è tutt’ora l’avanguardia dei Dust Devils, l’operativo della squadra e per lui la detenzione in una prigione come Faregate era al pari di un allenamento intensivo. Ogni giorno uno scontro. Ogni giorno un avversario differenti. Sul fisico i lividi si davano il cambio scandendo il tempo, le cicatrici restavano per segnare le vittorie. Ogni volta che sedeva ad un tavolo della mensa il suo sguardo vigile scansionava la zona ed era l’unico momento in cui riusciva ad affiancare il giovane compagno vittima più di tutti di quella detenzione forzata. 


Le parole erano inutili, John pareva non voler aiuto, umiliato nel profondo non accettava di perdere ancora quel briciolo di orgoglio e rispetto per se stesso. Klaus lo capiva, lo rispettava. Fino ad un certo punto. Gli altri diavoli si trovavano su Bullfinch a combattere, Red era costantemente in isolamento, in sala interrogatori o in infermeria. Lui era l’unico che poteva fare qualcosa.


Vedere John uscire dalla cella con la schiena insanguinata ed il suo numero di matricola inciso sulla spalla destra fu l’ultima goccia. Il messaggio d’avvio per quello che sarebbe accaduto da li ad una settimana.


Aspettò il momento giusto, cercò di pianificare alla perfezione ogni tempistica. L’unico luogo dove poteva vendicarsi di Butch per quello fatto a John era la stanza delle docce. Era la stanza con gli angoli cechi per eccellenza. Sembrava costruita apposta, per i soprusi, gli stupri e gli omicidi, grazie ad una parete centrale che percorreva la lunghezza della stanza e che oscurava la maggior parte della visuale delle guardie all’entrata.


Klaus si fece malmenare un giorno prima della giornata dedicata al bagno, per arrivare in ritardo all’appuntamento, e giungere così mentre gli altri cominciavano ad uscire dal bagno. Ogni blocco aveva poco meno di una mezzora per lavarsi, ed ogni blocco era composto da cinque celle. I detenuti del blocco 17, quello di Butch sapevano che il lato oscuro delle docce era di suo dominio. Il crucco si spogliò prese un asciugamano pulito e se lo legò alla vita attendendo il permesso dalle guardie d’entrare.


Una volta all’interno ignorò una coppia di detenuti e superò l’angolo portando nella sua visuale l’energumeno già addosso al compagno. Non una parola uscì dalle sue labbra. Il fantasma scattò vibrando un colpo all’altezza del rene sinistro dell’animale, questi si voltò con una mano al fianco, fiaccato ed il pugno sollevato pronto a contrattaccare. Klaus riuscì a schivare il colpo, piegandosi quel tanto che bastava per penetrare le difese del macellaio. Un secondo pugno colpì la zona del fegato, mentre le nocche dell’indice e del medio si piantarono nel plesso solare. 


John era finito a terra con le mani sopra la testa dopo essere stato spinto fuori da quello scontro, alzò lentamente lo sguardo vedendo Klaus in posizione di guardia vibrare un poderoso pugno verso il viso del suo compagno di cella. Il sangue si mischiò all’acqua che continuava a scrosciare dallo spruzzino, per il naso rotto. Mentre il colosso cominciava a traballare tramortito, Klaus sciolse dalla vita l’asciugamano per  avvolgerlo su se stesso prima di agguantarlo con entrambe le mani. Scattò nuovamente verso Butch stringendogli l’asciugamano ora umido intorno al collo per poi costringerlo ad inginocchiarsi piazzandogli una ginocchiata in mezzo alle gambe.


Per tutto il tempo Klaus non spiaccicò una parola, riversò Butch sul pavimento, gli si sedette sopra, in una pozza d’acqua mista a sangue che andava mano a mano allargandosi ad ogni pugno che continuava piantargli sul viso sempre più tumefatto. 


Klaus continuò a tirare i pugni in silenzio.


Continuò a colpire il suo viso anche dopo che cessò di respirare.


John non dimenticherà mai lo sguardo del fantasma, in quel bagno scuro macchiato di sangue.

Convicted: n°17-38-5426



Faregate Day 21


Uno dei modi che ha la gestione di un penitenziario di massima sicurezza, per rendere gestibile la detenzione dei detenuti è quella di eliminare il più possibile, il contatto con il mondo esterno. Un altro modo è quello di eliminare lentamente i diritti umani del soggetto, eliminare l’individuo.


Il primo passo per questo processo è dato dall’eliminazione del nome. Quello che fin dal tuo primo vagito ti caratterizza come essere umano, che ti rende una persona, quello che sei, all’interno di Faretrade viene sottratto e sostituito con un numero. Questo numerò porterà un individuo senza nome di credere giorno per giorno, di non essere nulla.

“Dove cazzo hai intenzione di andare, ragazzino?”

Grasso, imponente e sudaticcio. Il compagno di cella riusciva ad apparire ancora più grande di quanto non fosse, grazie al suo carattere.

“Fuori per l’ora d’aria.”
“Tu non ti muoverai da questa cella.”
“Non puoi costringermi.”

John era stanco di subire. Era esausto di sopportare quel suo modo di fare, quegli ordini dati come se avesse un secondino in cella. Non poteva andare avanti. Partì all’attacco chiudendo nel pugno una lama precedentemente creata sciogliendo con un accendino la fine di uno spazzolino da denti. Riuscì a colpirgli la spalla destra, ma l’attacco fu completamente inutile.

“Mossa sbagliata ragazzino.”

John senti il grande impatto a lato del viso ed il sapore del sangue in bocca. Crollò facilmente a terra, riverso con il peso del bestione sopra di lui. Era frastornato al punto che cominciò a credere d’essere ancora su Hall Point a fronteggiare Dragan. Ogni suo movimento per disarcionare il compagno di cella era vano per la differenza di stazza.

“Devi ancora capire quale sia il tuo posto.”

La maglia venne strappata come se fosse carta e John cominciò a sentire il bruciore sulla palle. Sentì la lama creata per salvarsi, incidergli la carne.

Benché Butch avesse delle mani enormi, era piuttosto abile nell’utilizzo delle lame, e riusciva a muoverle con maestria mentre incideva nella carne viva sulla sua pelle i numeri assegnati al giovane indipendentista.

“Sei solo carne, ragazzino. Un numero. Nient’altro.”

La fronte premuta contro il pavimento con forza, i denti serrati per la mascella contratta, per non urlare, per sopportare il dolore, gli occhi umidi di lacrime per l’umiliazione. Una parte di lui cominciò a ritirarsi, come per proteggersi, per ignorare il mondo che stava vivendo.

Una sentinella passò proprio in quel momento e riuscì a vedere perfettamente il bastardo sollevarsi in piedi con ancora in mano lo spazzolino insanguinato, sorridente.

“Il ragazzo si è tagliato, accidentalmente.”

Bastò questo per evitare altre parole da parte della guardia. John venne accompagnato in infermeria, sotto lo sguardo nervoso di Klaus e medicato alla bene e meglio per poi essere rispedito nuovamente in cella.

Nel breve periodo che passò all’interno dell’infermeria della sua sezione, la sua mente vagava. Un tempo amava quel soprannome: “Ragazzino”. Jack e Buck erano soliti usarlo, lui era “il Ragazzino”. Ora quell’aggettivo gli era stato strappato via dalle mani di un macellaio, e con esso una parte di lui.

Quando John venne riportato in cella, lo trovò ad aspettarlo a lato dell’entrata, intento a tenere il telo montato per evitare occhiate indiscrete dall’esterno, con il solito sorriso beffardo in volto.

“Ben tornato a casa ragazzino. Hai finalmente capito cosa sei?”
“Aye… solo carne.”

John venne fatto entrare, e la tenda venne calata per celare al resto di Faregate quello che sarebbe accaduto all’interno di quella cella.

martedì 15 ottobre 2013

Convicted: Nest of thorns.


Faregate Day 13



C’è un momento, nella vita di ogni uomo… un momento in cui perdi te stesso.
In cui metti in dubbio la tua esistenza stessa.
Metti in dubbio il mondo, le sue regole.
Metti in dubbio la stessa realtà delle cose.
Quando accade, basta un soffio per oltrepassare il confine,
e cadere verso la follia.

Faregate, non è un posto per uomini, non è un posto per esseri umani. Coloro che vi mettono piede si rendono velocemente conto di quale luogo dimenticato sia. Una struttura capeggiata da un capitalista incallito, che trae soldi dal governo alleato allo scopo di rendere il più vivibile possibile la permanenza dei detenuti. In realtà, questa struttura si regge su un precario equilibrio sociale. Da un lato il sistema di guardia, secondini e capitani, dall’altra i maggiori esponenti della feccia detenuta. I soldi vengono investiti solo in minima parte per il sostentamento della struttura portando i detenuti a patire fame e freddo nel tempo.

Ben presto gli uomini dimenticano di essere tali, cadono nell’oscurità diventando più pericolosi degli animali stessi.

Lo chiamavano Butch Bother.
Un tempo era un pirata che scorrazzava in giro per il ‘Verse, con una banda di tagliagole. Una schiera di bastardi, approfittatori e menefreghisti. Butch era uno degli esponenti della casta locale di Faregate. Seguiva lo spaccio interno, la distribuzione delle risorse e sapeva sempre quale telecamera funzionava e quale no in un determinato momento. E prevedeva sempre gli incidenti che capitavano agli altri.

John conosceva il tipo. Sapeva come trattare con questi. Mai dargliela vinta, combattere, dimostrare di avere le palle. Ma niente dentro Faregate è come nel resto del ‘Verse.

Fin dai primi giorni Butch non solo si comportava come il boss imponente che era. Ma attaccava psicologicamente il giovane indipendentista, vietando di muoversi quando era sulla branda superiore. Di usare il water, o anche solo di bere. Più volte vennero alle mani, e più volte John dovette sopportare la stretta della sua mano intorno al collo, ed il fiato marcio della sua bocca che si apriva per vomitare continue minacce.
"Non potere antare afanti cozì Cionny..... prima o poi lui uccitere te..."
Sono le prime parole che Klaus gli rivolge appena si avvicina al suo tavolo, tenendo fra le mani il vassoio del pranzo. Il biondo sofferma lo sguardo severo sul suo volto su cui compare un nuovo livido.
“Sto bene, Klaus.”
“Tu non ztare pene. Zentire ogni coza ta qvella cazzo ti parete.”
Continua una volta sedutosi al tavolo. La forchetta di plastica che tiene stretta in mano si spezza con uno schiocco mentre lo sguardo passa in rassegna il tavolo del boss nell’angolo opposto della mensa.
“So cavarmela, da solo.”
Klaus riporta lo sguardo sul giovane a quelle parole, nello sguardo una vena di timore come se stesse già vedendo i segni indelebili che stavano formandosi sull’anima del ragazzo.
“Potere farlo zmettere.... per zempre…”
Sussurra freddamente chinandosi verso di lui, oltre il vassoio segmentato del pranzo sintetico ed insapore.
“I can do it.”

lunedì 14 ottobre 2013

Convicted: Wings clipped.




Faregate Day 1
Carne Fresca! 
Esordisce a gran voce il Chief del posto mentre avanza nel largo corridoio in quel canion di celle. Sembrava essere un qualche santone, che apriva la strada, seguito da un gregge, scortato da secondini armati. Sembrava di partecipare ad una festa: tutti i carcerati erano alle sbarre delle relative celle ed urlavano, si dimenavano, insultavano ed acclamavano la schiera dei nuovi detenuti. Sembrava di essere all’inferno.
Alza quella cazzo di testa, ragazzo!


Ringhia con ferocia Red, alle spalle di un giovane roser intimorito da quello spettacolo. John voltando il capo lo osserva continuare a camminare con il petto gonfio e la schiena ben ritta. Il suo sguardo è pura determinazione. È lo sguardo di coloro che ci sono già passati, e ne sono usciti in un modo o nell’altro. 


Si tratta del “Benvenuto” una procedura che i secondini adorano effettuare ogni volta che gli arriva un nuovo carico di detenuti, i quali vengono intimoriti ancor prima di ambientarsi. La distanza tra l’entrata nell’area celle e la zona d’inserimento misura più di sessanta metri di distanza, percorsi fra urla, schiamazzi e grida di scherno. Red e Klaus se lo aspettavano. Si aspettavano che John potesse diventare la nuova preda di quel posto. Il nuovo ragazzino da tormentare al punto da portarlo ad impiccarsi con le lenzuola della sua branda.
Bene, ammasso di letame. Queste sono le regole. Qui comando io, non fate cazzate e restate in vita, il più possibile. Più detenuti respirano in questo luogo dimenticato dal vostro Dio, più l’Alleanza paga il boss. Ed ore spogliatevi, razza di finocchi !
Dopo il benvenuto iniziavano le pratiche più umilianti. 


Benché le docce fossero funzionanti, i secondini preferivano schierare i nuovi arrivati contro la parete ed utilizzare gli idranti a canna per lavarli tutti. A seguire: le perquisizioni corporali ed i soldati alleati armati, quando si doveva umiliare un detenuto, non mancavano mai. Infine veniva concesso ad ognuno di loro una paio di scarpe senza lacci, un paio di calze e mutande, una maglia bianca ed una divisa grigia. Niente di più, niente di meno. 


John poteva sopportare tutto. Era un sopravvissuto. Nato dalla guerra, e cresciuto per le fogne di un pianeta popolato dalla peggior feccia del ‘Verse. Poteva farcela. Poteva scontare la sua pena con Red e Klaus al suo fianco. Ne era convinto.


Fino a quando non arrivò lo smistamento. A nessuno di loro era permesso di stare nella stessa cella con un altro nuovo detenuto. Ognuno dei nuovi detenuti veniva assegnato ad una cella già occupata da un vecchio detenuto. Quello cominciò a minare la sicurezza del giovane cecchino. Si ritrovò davanti la cella a sbarre chiuse, dietro di esse un bestione sudaticcio e stempiato. Al suo fianco destro, una guardia armata. Davanti alla cella che si trova alla sua sinistra, un silenzioso Klaus. John volta il capo ora osservando l’area in cerca di Red, ritrovando poi il volto di Klaus intento a negare.

Celle Aperte!