Faregate Day 13
C’è
un momento, nella vita di ogni uomo… un momento in cui perdi te stesso.
In
cui metti in dubbio la tua esistenza stessa.
Metti
in dubbio il mondo, le sue regole.
Metti
in dubbio la stessa realtà delle cose.
Quando
accade, basta un soffio per oltrepassare il confine,
e
cadere verso la follia.
Faregate,
non è un posto per uomini, non è un posto per esseri umani. Coloro che vi
mettono piede si rendono velocemente conto di quale luogo dimenticato sia. Una
struttura capeggiata da un capitalista incallito, che trae soldi dal governo
alleato allo scopo di rendere il più vivibile possibile la permanenza dei
detenuti. In realtà, questa struttura si regge su un precario equilibrio
sociale. Da un lato il sistema di guardia, secondini e capitani, dall’altra i
maggiori esponenti della feccia detenuta. I soldi vengono investiti solo in
minima parte per il sostentamento della struttura portando i detenuti a patire
fame e freddo nel tempo.
Ben
presto gli uomini dimenticano di essere tali, cadono nell’oscurità diventando
più pericolosi degli animali stessi.
Lo
chiamavano Butch Bother.
Un
tempo era un pirata che scorrazzava in giro per il ‘Verse, con una banda di
tagliagole. Una schiera di bastardi, approfittatori e menefreghisti. Butch era
uno degli esponenti della casta locale di Faregate. Seguiva lo spaccio interno,
la distribuzione delle risorse e sapeva sempre quale telecamera funzionava e
quale no in un determinato momento. E prevedeva sempre gli incidenti che
capitavano agli altri.
John
conosceva il tipo. Sapeva come trattare con questi. Mai dargliela vinta,
combattere, dimostrare di avere le palle. Ma niente dentro Faregate è come nel
resto del ‘Verse.
Fin
dai primi giorni Butch non solo si comportava come il boss imponente che era.
Ma attaccava psicologicamente il giovane indipendentista, vietando di muoversi
quando era sulla branda superiore. Di usare il water, o anche solo di bere. Più
volte vennero alle mani, e più volte John dovette sopportare la stretta della
sua mano intorno al collo, ed il fiato marcio della sua bocca che si apriva
per vomitare continue minacce.
"Non potere antare afanti cozì Cionny..... prima o poi lui uccitere te..."
Sono
le prime parole che Klaus gli rivolge appena si avvicina al suo tavolo, tenendo
fra le mani il vassoio del pranzo. Il biondo sofferma lo sguardo severo sul suo
volto su cui compare un nuovo livido.
“Sto bene, Klaus.”“Tu non ztare pene. Zentire ogni coza ta qvella cazzo ti parete.”
Continua
una volta sedutosi al tavolo. La forchetta di plastica che tiene stretta in
mano si spezza con uno schiocco mentre lo sguardo passa in rassegna il tavolo
del boss nell’angolo opposto della mensa.
“So cavarmela, da solo.”
Klaus
riporta lo sguardo sul giovane a quelle parole, nello sguardo una vena di
timore come se stesse già vedendo i segni indelebili che stavano formandosi sull’anima
del ragazzo.
“Potere farlo zmettere.... per zempre…”
Sussurra
freddamente chinandosi verso di lui, oltre il vassoio segmentato del pranzo
sintetico ed insapore.
“I can do it.”
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