martedì 15 ottobre 2013

Convicted: Nest of thorns.


Faregate Day 13



C’è un momento, nella vita di ogni uomo… un momento in cui perdi te stesso.
In cui metti in dubbio la tua esistenza stessa.
Metti in dubbio il mondo, le sue regole.
Metti in dubbio la stessa realtà delle cose.
Quando accade, basta un soffio per oltrepassare il confine,
e cadere verso la follia.

Faregate, non è un posto per uomini, non è un posto per esseri umani. Coloro che vi mettono piede si rendono velocemente conto di quale luogo dimenticato sia. Una struttura capeggiata da un capitalista incallito, che trae soldi dal governo alleato allo scopo di rendere il più vivibile possibile la permanenza dei detenuti. In realtà, questa struttura si regge su un precario equilibrio sociale. Da un lato il sistema di guardia, secondini e capitani, dall’altra i maggiori esponenti della feccia detenuta. I soldi vengono investiti solo in minima parte per il sostentamento della struttura portando i detenuti a patire fame e freddo nel tempo.

Ben presto gli uomini dimenticano di essere tali, cadono nell’oscurità diventando più pericolosi degli animali stessi.

Lo chiamavano Butch Bother.
Un tempo era un pirata che scorrazzava in giro per il ‘Verse, con una banda di tagliagole. Una schiera di bastardi, approfittatori e menefreghisti. Butch era uno degli esponenti della casta locale di Faregate. Seguiva lo spaccio interno, la distribuzione delle risorse e sapeva sempre quale telecamera funzionava e quale no in un determinato momento. E prevedeva sempre gli incidenti che capitavano agli altri.

John conosceva il tipo. Sapeva come trattare con questi. Mai dargliela vinta, combattere, dimostrare di avere le palle. Ma niente dentro Faregate è come nel resto del ‘Verse.

Fin dai primi giorni Butch non solo si comportava come il boss imponente che era. Ma attaccava psicologicamente il giovane indipendentista, vietando di muoversi quando era sulla branda superiore. Di usare il water, o anche solo di bere. Più volte vennero alle mani, e più volte John dovette sopportare la stretta della sua mano intorno al collo, ed il fiato marcio della sua bocca che si apriva per vomitare continue minacce.
"Non potere antare afanti cozì Cionny..... prima o poi lui uccitere te..."
Sono le prime parole che Klaus gli rivolge appena si avvicina al suo tavolo, tenendo fra le mani il vassoio del pranzo. Il biondo sofferma lo sguardo severo sul suo volto su cui compare un nuovo livido.
“Sto bene, Klaus.”
“Tu non ztare pene. Zentire ogni coza ta qvella cazzo ti parete.”
Continua una volta sedutosi al tavolo. La forchetta di plastica che tiene stretta in mano si spezza con uno schiocco mentre lo sguardo passa in rassegna il tavolo del boss nell’angolo opposto della mensa.
“So cavarmela, da solo.”
Klaus riporta lo sguardo sul giovane a quelle parole, nello sguardo una vena di timore come se stesse già vedendo i segni indelebili che stavano formandosi sull’anima del ragazzo.
“Potere farlo zmettere.... per zempre…”
Sussurra freddamente chinandosi verso di lui, oltre il vassoio segmentato del pranzo sintetico ed insapore.
“I can do it.”

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