lunedì 19 agosto 2013

Dad

Tutto è cambiato e niente è come prima.

Quando perdi qualcuno non te ne accorgi mai fino a che non diventa troppo tardi. La giornata passa come al solito, fino a che non t arriva la chiamata, o leggi il messaggio. Rendersi conto della realtà del fatto poi... diventa un'impresa.

Ti ho visto a colazione, mi hai sorriso da sotto la barba perchè avevo la faccia stropicciata dal cuscino, lo sguardo assente di un bambino assonnato e non ancora conscio dell'essere sveglio. Ti ho visto uscire con la coda dell'occhio per non tornare più.

Ora mi accorgo di tutte quelle cose che facevi per me. Quelle piccole attenzioni, quei piccoli gesti.

Credo di averli dati per scontati, come quelle abitudini che diventano ovvie e quotidiane nella giornata. Non te ne rendi conto a lungo andare.

Mi preparavi sempre una scodella di proteine sintetiche, mi costringevi a portarmi dietro quantomeno uno dei frutti portati da Tyago quando dovevo andare di ronda.
Le pacche sulla spalla... lasciate appena si presentava l'occasione.
La mano sulla testa a mo' di saluto.
Il restare sveglio, facendo finta di dormire, aspettando il mio rientro in cabina.
Il passeggiare per la Almost Home, osservandomi per assicurarti che ci fossi. Ogni tanto passavi almeno tre volte con la scusa di prendere o controllare qualcosa.
I nostri battibecchi...

Di punto in bianco mi ritrovo a non averti più intorno. Non ho neanche una tua foto. Non abbiamo una nostra foto. Ho solo dei ricordi.

Ti sei insinuato nel mio cuore, sei diventato una parte fondamentale della mia vita. Ho faticato tanto, non puoi sapere quanto sia stato difficile per me, diventare tuo figlio. Avere un padre. 

Mi ha cambiato essere un figlio. 
Mi hai cambiato tu. 
Per la prima volta... 
Ogni giorno mi sentivo strano, felice. 
Mi faceva piacere quando ti preoccupavi per me, quando ti arrabbiavi con me.
Volevo raccontarti tutto ciò che mi accadeva. Potevo fidarmi di te, confidarmi e sapevo che benchè avessi delle remore, dei dubbi, o non accettassi quello che facevo o come lo facevo, eri sempre disposto a lasciarmi fare. Ad accettare chi fossi limitandoti al solo consiglio e supervisione, agendo solo quando si presentava un reale rischio.

Non ricordo l'ultima volta che ti ho abbracciato.

Ho la tua voce in testa, cerco di ripetermi le tue parole, odio che la rete cortex l'abbia distorta, non riesco a ricordare perfettamente la tua voce.

Ho paura di dimenticarmi del tuo viso.

Io... non so cosa fare. 
Mi hai detto di non lasciarmi sopraffarre della cosa, come faccio?
Non ho mai avuto un padre, poi sei arrivato tu, ed ora ti hanno portato via.
Cosa faccio?
Non sono più troppo piccolo, il tempo non può cancellare questi ricordi ormai saldatisi nella mia mente. 
Mi è rimasto un vuoto. So che non potrò mai dimenticarmi di te, ma allo stesso tempo temo di perdere i ricordi, il tuo volto, la tua voce, le tue parole. Ho paura che il dimenticarmi di te possa diventare un abitudine e che a poco a poco rientri nella quotidianità. Che prima o poi non riesca più a notare la tua assenza.
Come se non fossi mai esistito.

Solo ora mi accorgo di quanto ti ami. 
Di quanto ci si accorga davvero di qualcuno quando questo non ci sia più.
E solo ora mi accorgo di quanti diversi tipi di amori esistano.

E di come questo mi stia straziando.

Non so cosa fare. Non so come fare a seguire il tuo consglio.

Non lasciarmi sopraffarre. Non perdere la propria umanità... 

Cosa faresti tu, Dad?

 Non ricordo il nostro ultimo abbraccio, e mi manca quella pressione confortante, quella mano sulla nuca.


lunedì 5 agosto 2013

Private from all humanity.



Niente è più spiazzante che guardare la propria immagine riflessa in uno specchio. 
Niente ti mette in soggezione, ti porta il dubbio, mina le tue certezze come uno specchio.
In un senso distorto non vediamo noi stessi. Non siamo mai l'immagine riflessa che vediamo, non siamo noi. 
Quello non sono io. Chi è? 

Where I'm now?

Viviamo in prima persona e non siamo realmente come ci mostriamo. Non siamo noi, non sono io. Quel volto, quegli occhi. Non mi vedo così, non mi vedo. 
I'm Broken.

Sento il metallo freddo sotto la stretta delle mie dita, di un lavandino dei bagni della Almost Home. Alzo lo sguardo e lo fisso in quello del mio riflesso, notando come solo quelle iridi rappresentino realmente quello che sono in questo momento. Distruto.

Le parole di Bolivar ancora mi frullano in testa. Alzo il rasoio.
Quelle di Sam escono con prepotenza dai miei ricordi. Lo accendo.
Jack... anche lei. La sua espressione, il suo tono di voce, le sue parole. Il ronzio della macchinetta, la vibrazione prodotta dal motorino interno si riperquote lungo il braccio, lo avvicino al capo. Inspiro a fondo.

Who am I? This is me?

Sono nato senza niente, perchè non sono nato in una casa con una madre e dei nonni affettuosi. Sono nato per strada. Partorito da delle bombe scagliate sul mio pianeta. I miei non erano vagiti. Non erano neanche pianti ed urla disperate. L'unica cosa che si poteva sentire era il fischio sinistro che anticipava la detonazione. Io sono nato dalla strada. Combattevo per un pezzo di pane e se non potevo ucciderli allora glielo rubavo. Ho sempre ottenuto ciò di cui avevo bisogno, era facile. Non rendere conto a nessuno. Prendere ciò di cui si ha bisogno. Era facile.

Sono nato senza niente ed ho lottato con le unghie e con i denti per cercare di ottenere qualcosa.

E per un breve momento sono riuscito ad avere tutto ciò di cui avevo veramente bisogno. Ero entrato in un periodo felice.
Ho ottenuto una donna. Ottenuto? Rubata. Rubata dal ricordo di un compagno che credevo morto.
"Non fa per te! Non porta nulla di buono!"
Sono riuscito a diventare figlio di qualcuno, ad ottenere un padre.
"Smettila di comportarti da figlio solo quando ti fa più comodo!"
Mi credevo un soldato, dedito alla causa.
"Un soldato dev'essere ligio al dovere, non mancare agli ordini dati e rispettoso verso i compagni ed i superiori."

And now, what am I? A boyfriend? A son? Or a soldier?
Now I am nothing.

Avvicino la macchinetta alla fronte, al contatto col metallo non sento niente, lascio scivolare quei denti meccanici sulla cute cominciando a sentire il suono di ogni capello tranciato. I più lunghi cadono mentre spingo la macchinetta verso la fine prima di riportarla di nuovo alla fronte. 

Non riesco a fare nulla, non ora. Ripenso alla discussione con Bolivar.
"Non lasciare che ti privino della tua umanità, della tua vita."
Come fare? Non posso fare altro. Non riesco ad essere un ragazzo normale ed un soldato. Non mi viene permesso. Non ci riesco.

E per risolvere questa situazione c'è solo da valutare le priorità, è una questione di priorità.
Sarò un soldato, voglio diventarlo, scalare la gerarchia e diventare la migliore arma di cui Jack Roster abbia bisogno. Lei mi ha salvato da un futuro incerto, mi ha dato una casa, mi ha sfamato, mi ha istruito, dato un lavoro.
"Se Jack avesse bisogno di un arma andrebbe a prenderla al Safeport."
Ma è l'unica cosa che posso fare, L'unica persona che posso diventare, non posso essere nient'altro. è una questione di priorità. 
"Jack non lo vorrebbe."
è quello che posso essere.
"Gliela darai vinta."

Passo ora le mani sul capo rasato, e senza quella zazzera di capelli, noto meglio quelle iridi che mi fissano, buie profonde. Inspiro a fondo. Spengo la macchinetta.

In alcune culture il taglio dei capelli ha un significato profondo. Questi crescono, si allungano con lo scorrere del tempo e tagliarli significa taglirare con il passato. Prepararsi ad un nuovo inizio.

è necessario fare una scelta, eliminare i rami secchi, tagliare con il passato. I sentimenti, gli amori, gli affetti risultano essere una debolezza. 

Non so ancora cosa sono, non so chi sono, ogni certezza mi è stata privata in pochi giorni. 

Sono esauso.