Faregate Day 28
Klaus
Schmidt viene considerato dal giovane John al pari di un Fantasma. The Ghost, è
il soprannome che gli ha affibbiato, quando più di una volta lo ha visto
reagire con un’impressionante velocità, schivare proiettili e colpire più
persone contemporaneamente.
Ma
Klaus Schmidt resta un semplice soldato, un combattente, uno di quelli che
messo in gabbia con un avversario, lotta instancabilmente per raggiungere uno
dei due risultati possibili: Primeggiare e sopravvivere o soccombere e morire.
Venne
messo in cella con un muscoloso minatore di Clackline, dalla pelle nera dura e
tesa sui muscoli gonfi. Una volta messo piede in cella, Klaus lo vide
scrocchiare le dita con un sorriso beffardo al quale rispose con uno sguardo
glaciale e fermo. Il cancello si chiuse con un suono metallico che fu
interpretato come il suono della campanella di un Ring. L’ex-minatore venne
portato mezzora dopo fuori dalla cella, con il naso rotto, un paio di costole
incrinate ed una commozione cerebrale.
Il
biondo indipendentista è uno dei sopravvissuti alla guerra. Cresciuto su Hera
ed istruito in maniera rudimentale dal padre, si è inserito fra le schiere
indipendentiste verso la fine del periodo di guerra. È uno specialista del
corpo a corpo ed un instancabile soldato. Su Bullfinch si allenava
costantemente, eseguiva gli ordini in silenzio ed era il primo a scattare
quando si presentava un pericolo. Klaus era ed è tutt’ora l’avanguardia dei
Dust Devils, l’operativo della squadra e per lui la detenzione in una prigione
come Faregate era al pari di un allenamento intensivo. Ogni giorno uno scontro.
Ogni giorno un avversario differenti. Sul fisico i lividi si davano il cambio
scandendo il tempo, le cicatrici restavano per segnare le vittorie. Ogni volta
che sedeva ad un tavolo della mensa il suo sguardo vigile scansionava la zona
ed era l’unico momento in cui riusciva ad affiancare il giovane compagno
vittima più di tutti di quella detenzione forzata.
Le
parole erano inutili, John pareva non voler aiuto, umiliato nel profondo non
accettava di perdere ancora quel briciolo di orgoglio e rispetto per se stesso.
Klaus lo capiva, lo rispettava. Fino ad un certo punto. Gli altri diavoli si
trovavano su Bullfinch a combattere, Red era costantemente in isolamento, in
sala interrogatori o in infermeria. Lui era l’unico che poteva fare qualcosa.
Vedere
John uscire dalla cella con la schiena insanguinata ed il suo numero di
matricola inciso sulla spalla destra fu l’ultima goccia. Il messaggio d’avvio
per quello che sarebbe accaduto da li ad una settimana.
Aspettò
il momento giusto, cercò di pianificare alla perfezione ogni tempistica.
L’unico luogo dove poteva vendicarsi di Butch per quello fatto a John era la
stanza delle docce. Era la stanza con gli angoli cechi per eccellenza. Sembrava
costruita apposta, per i soprusi, gli stupri e gli omicidi, grazie ad una
parete centrale che percorreva la lunghezza della stanza e che oscurava la
maggior parte della visuale delle guardie all’entrata.
Klaus
si fece malmenare un giorno prima della giornata dedicata al bagno, per
arrivare in ritardo all’appuntamento, e giungere così mentre gli altri
cominciavano ad uscire dal bagno. Ogni blocco aveva poco meno di una mezzora
per lavarsi, ed ogni blocco era composto da cinque celle. I detenuti del blocco
17, quello di Butch sapevano che il lato oscuro delle docce era di suo dominio.
Il crucco si spogliò prese un asciugamano pulito e se lo legò alla vita
attendendo il permesso dalle guardie d’entrare.
Una
volta all’interno ignorò una coppia di detenuti e superò l’angolo portando
nella sua visuale l’energumeno già addosso al compagno. Non una parola uscì
dalle sue labbra. Il fantasma scattò vibrando un colpo all’altezza del rene
sinistro dell’animale, questi si voltò con una mano al fianco, fiaccato ed il
pugno sollevato pronto a contrattaccare. Klaus riuscì a schivare il colpo,
piegandosi quel tanto che bastava per penetrare le difese del macellaio. Un
secondo pugno colpì la zona del fegato, mentre le nocche dell’indice e del
medio si piantarono nel plesso solare.
John
era finito a terra con le mani sopra la testa dopo essere stato spinto fuori da
quello scontro, alzò lentamente lo sguardo vedendo Klaus in posizione di
guardia vibrare un poderoso pugno verso il viso del suo compagno di cella. Il
sangue si mischiò all’acqua che continuava a scrosciare dallo spruzzino, per il
naso rotto. Mentre il colosso cominciava a traballare tramortito, Klaus sciolse
dalla vita l’asciugamano per avvolgerlo
su se stesso prima di agguantarlo con entrambe le mani. Scattò nuovamente verso
Butch stringendogli l’asciugamano ora umido intorno al collo per poi
costringerlo ad inginocchiarsi piazzandogli una ginocchiata in mezzo alle
gambe.
Per
tutto il tempo Klaus non spiaccicò una parola, riversò Butch sul pavimento, gli
si sedette sopra, in una pozza d’acqua mista a sangue che andava mano a mano
allargandosi ad ogni pugno che continuava piantargli sul viso sempre più
tumefatto.
Klaus
continuò a tirare i pugni in silenzio.
Continuò
a colpire il suo viso anche dopo che cessò di respirare.
John
non dimenticherà mai lo sguardo del fantasma, in quel bagno scuro macchiato di
sangue.